La nuova corsa agli abissi
La nuova corsa agli abissi
“È una questione lontana dagli occhi dei più, ma che rischia di intaccare la vita di tutti noi. Si tratta dell’assalto alle risorse sottomarine – soprattutto quelle di minerali, metalli, gas e petrolio – a lungo ritenute remote e inaccessibili, ma che ora nuove tecnologie rendono fruibili.”
Nella foto: Il Bathyscaphe Trieste, un veicolo sommergibile di ricerca per immersioni profonde di costruzione italiana, che con il suo equipaggio di due persone ha raggiunto una profondità massima record di circa 10.911 metri (35.797 piedi), nella prima discesa della parte più profonda conosciuta degli oceani della Terra, il Challenger Deep, nella Fossa delle Marianne vicino a Guam nel Pacifico, il 23 gennaio 1960. Viene issato fuori dall’acqua in un porto tropicale, intorno al 1958-59, subito dopo il suo acquisto da parte della Marina degli Stati Uniti.
The blue accelleration: andamento delle attività legate allo sfruttamento delle risorse oceaniche (1970-2020).
Un recente studio, The Blue Acceleration, documenta l’impennata senza precedenti dello sviluppo di attività economiche nell’oceano, che evidenzia in maniera netta una traiettoria esponenziale dei nuovi e tradizionali usi commerciali che lo riguardano.
Mentre alcuni ultraricchi sembrano prepararsi alla fuga su altri pianeti, per chi rimane sulla Terra, l’oceano, che ricopre i due terzi della superficie terrestre e possiede ancora vaste risorse inutilizzate, rappresenta una delle frontiere più promettenti per soddisfare la crescente domanda di cibo, materie prime e persino di spazio.
Circa il 70% dei maggiori depositi di idrocarburi scoperti fra il 2000 e il 2010 si trova sotto il mare, e con il progressivo esaurimento di giacimenti nelle acque meno profonde (inferiori a 400 metri), la produzione si sta spostando a maggiori profondità.
Inoltre, i fondali marini conterrebbero vasti giacimenti di gas naturali.
Fonte: GEBCO 2020 seafloor dataset.
Lo studio mostra inoltre la grande concentrazione di questo fatturato viene prodotto sfruttando l’oceano: 100 aziende multinazionali si dividono il 60% del fatturato globale dell’economia dell’oceano, per un totale di 1100 miliardi di dollari nel 2018. Il 64% di questi fatturati viene realizzato da compagnie del settore petrolifero e del gas off-shore.
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Valore dell’industria dell’oceano per settore
Fonte: International Monetary Fund, World Wildife Fund, Ocean Panel Organisation
Nella foto: piattaforme per estrazione di gas e petrolio nel mare della Norvegia.
Tipologie e caratteristiche minerarie dei fondali oceanici
Fonte: oceanpanel.org
Challenge expedition
Fonte: zamboanga.com
Si accumulano nei fondali come pepite scure, escono come fumi grigiastri da ‘caminetti’ naturali subacquei, o si depositano su croste sottomarine.
Si accumulano nei fondali come pepite scure, escono come fumi grigiastri da ‘caminetti’ naturali subacquei, o si depositano su croste sottomarine.
Lo sfruttamento industriale di queste risorse potrebbe provocare danni irreversibili agli ecosistemi sottomarini, dai quali dipendiamo per la produzione del 50% dell’ossigeno, nonché per regolare il clima, e per la catena alimentare.
Lo sfruttamento industriale di queste risorse potrebbe provocare danni irreversibili agli ecosistemi sottomarini, dai quali dipendiamo per la produzione del 50% dell’ossigeno, nonché per regolare il clima, e per la catena alimentare.
Nella foto: Una razza nuota su un fondale di coralli morti a Lizard Island, 2016. Credits: The Ocean Agency / XL Catlin Seaview Survey / Richard Vevers
Nella foto: un nodulo di manganese estratto da un fondale, habitat di varie forme di vita marine
La ricercatrice ed esploratrice marina Megan Cook ricorda che negli anni Settanta furono effettuati dei test per simulare gli effetti delle operazioni estrattive sottomarine. Esplorazioni recenti mostrano che, quarant’anni più tardi, i processi geo-chimici e la diversità delle specie osservati prima dei test non sono ancora stati ripristinati. Molti studi indicano inoltre che gli effetti ecologici si estenderebbero ben al di là dell’area direttamente interessata dall’estrazione, ad esempio colpendo specie migratorie. C’è evidenza empirica del fatto che effetti avuti nelle acque profonde si propaghino e si ripercuotano anche negli ecosistemi più vicini alla costa.
Aree oceaniche con la maggiore concentrazione di plastica
Fonte: Microplastic Pollution Map, One Earth-One Ocean (2021)
Nella foto: L’isola di Tarawa, nel Pacifico centrale, a Kiribati.